Zoe Map, artista eclettica, performer, filmaker ospite di Artex, l'arte incontra il Design
Il movimento come poesia muta. La performance come linguaggio nell’anima. É così che Zoe Map, artista eclettica, performer, filmaker, ospite di Artex, l’arte incontra il design [il contenitore di eventi promosso dall’Università Europea del Design di Pescara] interpreta il complesso linguaggio artistico.
“Nasco come fashion designer, per poi capire che la moda non era il mio campo, pur avendo una particolare abilità nel disegno e un lavoro importante in un ufficio stile – racconta Zoe – Il desiderio di continuare a studiare e espandere le mie capacità, capire meglio chi ero, mi ha portato a iscrivermi al corso di progettazione per lo spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Bologna. É qui che ho iniziato a studiare le arti performative.“
É in quel momento che hai capito di voler dare un’impronta personale alle tue performance?
“Sì, ad un tratto mi sono resa conto che potevo esprimere la mia voce attraverso la performance. La tecnica è importante quanto tante altre cose: il messaggio che hai, le influenze, chi sei, il tuo sguardo sul mondo.
La performance non è qualcosa di commerciabile. L’arte è un modo di sanare la propria anima. É uno spazio libero dove essere senza tutti i dogmi che ci sono imposti da una società capitalista.
Il successo non si può decifrare facendo riferimento ai soldi o ai followers. Il successo si raggiunge quando riesci a comunicare tutti i lati di te. “
Dovremmo dunque educare i ragazzi a osservare il mondo con i propri occhi e a trovare la consapevolezza di sé, la propria identità.
“Sì. Infatti l’identità è il fulcro di tutti i miei lavori. Trovare la propria identità significa capire dove mi colloca la società e poi sovvertire questa posizione, cercando il proprio essere, che può essere multidimensionale, fluido.”
Quindi una rivoluzione pacifica di tipo creativo?
“Sì. Una rivoluzione che ci porti a non cercare di mettersi in una scatola piena di regole.”
Consiglieresti ai ragazzi di seguire il proprio cuore, le proprie tendenze?
“Sì. Sembra una cosa banale e scontata. Ma ci vuole coraggio a essere se stessi, a non seguire passivamente le regole.”
É un modo per eliminare le fragilità tipiche dei ragazzi?
“Direi dare spazio a quelle fragilità, più che eliminarle. Ognuno di noi è spinto a dare una determinata immagine di sé. Non ha spazio per essere frustrato, negativo. Anche se tutto questo fa parte dei mille aspetti della nostra identità, della nostra esistenza. Spesso l’artista crea nei momenti di oscurità. La sofferenza, il dolore, ci ricordano che siamo vivi.”
Nella società dell’immagine nella quale viviamo, la performance può essere uno strumento che facilita questa riscoperta?
“Sì, la performance può darci lo spazio di essere in tutti gli aspetti e quindi ha un’azione di guarigione.”
Nelle tue performance usi il linguaggio del corpo, senza usare le parole?
“In ogni performance cerco di mettermi in gioco: dalla poesia muta, cioè la danza, alla videoproiezione o alla traccia musicale, come nell’ultima performance, dove ho campionato dei pezzi di attivisti, cantanti, bambini palestinesi. Lascio che le arti parlino per me.“
Articolo di Emanuela Costantini