La proposta stilistica di Stella Jean è geniale. Rappresenta la perfetta fusione di due culture, due linguaggi, due prospettive, che insieme moltiplicano le loro potenzialità. Il risultato è incredibile, emozionante.
Le sue sfilate sono un cortometraggio che racconta una storia ricca di suggestioni e di ricordi. “Una donna che costruisce ponti”.
È questo che si dice di Stella Jean.
Da dove nasce questa definizione?
“Il punto di partenza di questa visione, che è diventata la mia filosofia, – spiega Stella Jean, ospite di Glamour – Appunti di moda, il contenitore di eventi promosso dall’Università Europea del Design di Pescara – è un proverbio che dice: “gli imperi in declino costruiscono i muri, gli imperi in ascesa costruiscono i ponti”. Il fatto di unire argini opposti è l’unico modo di crescere e di evolversi, adesso più che mai.
Unendoci, non vedendo l’altro come un nemico, insieme abbiamo la possibilità di andare molto più avanti. Anche la cultura che ci sembra più distante dalla nostra ha dei punti in comune con noi.”
Le tue collezioni sono il frutto di questa filosofia e dimostrano quanto sia straordinario il risultato che si può ottenere mixando stili e culture apparentemente distanti tra loro.
“Il mio stile racconta in primis la mia storia. Lo styling non deve essere semplicemente un esercizio di stile fine a se stesso, ma è necessario per la narrazione. Perché gli abiti, gli accessori, per me sono parole che hanno un senso quando vengono trasformate in un racconto.
Quando ho iniziato il mio lavoro di stilista, la mia dichiarazione di intenti è stata quella di unire le mie due anime: io sono il risultato del bianco e del nero, del nord e del sud. Mia madre è haitiana, mio padre italiano.
E quando ho fatto il primo styling sulla passerella di Alta Roma ho messo insieme le camice a righe di mio padre, tipiche camice sartoriali italiane, con le stoffe che ricordavano le radici nere materne di Haiti. Ho semplicemente raccontato la mia storia.”
Come è avvenuto l’incontro con la moda e l’intuizione di diventare una stilista?
“Ho sempre avuto un’inclinazione familiare alla moda, iniziata accompagnando i miei genitori ognuno dal proprio sarto. L’ambiente, i gesti che vedevo compiere nelle sartorie per me avevano un grande fascino. Da qui è iniziata una visione della moda che andava oltre la valutazione dell’estetica. Per me bello e brutto sono concetti elementari. Passati gli anni della prima infanzia dobbiamo iniziare ad articolare questo pensiero.
Possiamo fare così tanto: ci esprimiamo, consciamente o inconsciamente, attraverso l’abbigliamento. La cultura storica italiana è il vero punto di forza del nostro paese. Senza saperlo, abbiamo un’inclinazione naturale verso la bellezza. Abbiamo uno strumento che dovremmo usare in un modo più consapevole.”
Il primo incontro con la moda, dopo l’esperienza come indossatrice, è avvenuto con la partecipazione al concorso promosso da Alta Roma.
“Sì. Dopo essermi aggiudicata il secondo posto al concorso, sono stata chiamata a sfilare da Armani come prima collezione donna ospite del teatro Armani. “
Immagino che sia stata una grandissima emozione.
“Incontenibile! Non lo chiamiamo “re Giorgio” a caso.”
Qual è l’elemento di base delle collezioni di Stella Jean?
“Le mie collezioni vengono sviluppate sempre su questo principio di multiculturalità. E una parte è realizzata con le artigiane, grazie alla collaborazione che portiamo avanti con il laboratorio delle Nazioni voluto dalle Nazioni Unite. Viene scelto un paese a basso reddito e una comunità artigiana in zone remote di questi paesi. E poi vengono svolte delle missioni in cui, per un periodo di tempo, io convivo e lavoro con questi artigiani e insieme creiamo un manufatto che possa avere accesso al mercato e che sia il riflesso della loro storia e delle loro origini. Quello che faccio è aggiungere quella ”italianità” che dà uno stile contemporaneo. Dopo averlo presentato in una collezione questo manufatto torna proprietà della comunità che può svilupparlo e venderlo.
C’è una differenza tra fare una collaborazione e creare una dipendenza. Gli artigiani con cui lavoro non devono fare una collezione solo quando ci sono io. Quando me ne vado, devono continuare a farla. Il mio compito è solo far loro nascere la consapevolezza che hanno una grande cultura, un grande patrimonio che in questo modo ha accesso al mercato globale.
Invece di servire di ispirazione ai grandi marchi, anche le comunità più remore devono portare la propria voce al tavolo della moda.”
Quella proposta da Stella Jean è una moda più che sostenibile.
“Una moda socialmente sostenibile, perché si parte dall’uomo. In Occidente adesso abbiamo il focus della sostenibilità sulla filiera, sul prodotto. Ma bisogna ricordare che in paesi dove manca acqua, elettricità, infrastrutture, non si possono applicare gli standard che vengono richiesti qui. Concentriamoci sulle persone, facciamole diventare indipendenti capendo quanto è importante quello che hanno. Queste persone hanno la capacità di portare nella moda una voce nuova, perché realizzano dei prodotti di una bellezza incredibile, che fanno veramente la differenza. Non hanno nessun legame con le strategie dei brand e riportano alla luce lavorazioni artigianali che si tramandano di generazione in generazione.
Quando queste popolazioni diventeranno indipendenti, avranno le infrastrutture, allora potremo parlare di sostenibilità legata alla tracciabilità di tutta la filiera. Adesso dobbiamo focalizzarci sulla sostenibilità umana.”
Il futuro della moda è questo?
“Questo è quello che io vedo considerando la mia storia, le mie radici. Punto di partenza Haiti, il paese di mia madre, da cui è partita l’idea della creazione del laboratorio delle Nazioni. Haiti è un paese con una ricchezza culturale infinita, capace di produrre dei manufatti di una bellezza straordinaria. La popolazione del posto non vede quanto sono preziosi, perché viene sommersa dai nostri second hand e oltre che noi scarichiamo in questo paese, facendo anche un bello scarico di coscienza. E questo spinge gli artigiani del posto ad accantonare la loro abilità.
È incredibile come riusciamo a fare danni prima con le produzioni di moda e poi quando ci crediamo dei salvatori. Queste persone non hanno bisogno dei nostri stracci, hanno delle tradizioni secolari. Recuperare questa eccellenza stilistica e culturale apre un nuovo panorama di stile, di scelte e di bellezza non omologante.”
In che modo si deve comunicare oggi la moda?
“Pensare ancora oggi che la moda si limita a fare dei bei vestiti è estremamente naif e anche un po’ pericoloso. La moda è uno strumento potentissimo e come tale ha la capacità di arrivare in tutto il globo in pochissimi secondi. È questa capacità abbiamo la possibilità di trasformarla in opportunità, di farne veicolo di comunicazione, per portare un messaggio. La moda ha un grande potere, solo se si ricorda che potere e responsabilità sono due facce della stessa medaglia.”
Anche l’artigianato ha la sua importanza e la sua forza.
“L’artigianato è ciò che ci lega alla tradizione di ogni paese. Non è solo manufatto: è storia, geopolitica. Porta con sé una grande carica culturale. Ogni volta che noi cerchiamo di omologarci, di seguire le tendenze imperialiste della moda, ci allineiamo a un gregge. Nel momento che capiremo di essere egregi, uscendo dal gregge, e inizieremo a fare la moda, non a seguirla, ritroveremo il vero carattere della moda che è progresso, avanguardia.
Mia madre diceva <hai bisogno di quel nome addosso per sentirti qualcuno? Il tuo non basta?> Oggi ho capito che il mio basta. Dobbiamo concentrarci sulla nostra identità, distinguerci.”
Emanuela Costantini