Il “frattempo” nella fotografia

Un prima e un dopo…

Per Stefano Schirato, fotoreporter ospite di Artex, il contenitore di eventi creato dall’Università Europea del Design di Pescara, esiste il ‘frattempo’. 
“Il frattempo è un elemento che mi ha sempre incuriosito – ci racconta prima di iniziare il suo incontro con gli studenti della UED – Quando c’erano le pellicole, nel mio primo viaggio che feci in Cambogia nel ’99, dovetti decidere se scattare in bianco o nero o a colori… 
Il frattempo è quando scatti l’ultima foto e chiudi il rullino e scrivi dove sei stato.
Ma il frattempo è anche tutto il tempo che passa prima che vedi quella foto. Un periodo che allora avrei annullato e che, invece, ritengo assolutamente sano, perché ti permette di distaccarti, di prendere coscienza di quello che hai fatto.

Dal momento in cui scatti l’ultima foto a quando rivedi tutte le foto deve passare del tempo.
Oggi il tempo di ‘metabolizzare’ non esiste più, perché il digitale non ti permette di distaccarti: una volta finito il lavoro lo scarichi ed inizi ad editare.
Poi c’è l’altro ‘frattempo’: da quando hai deciso che è finito il tuo lavoro a quando decidi dove va a finire.
Cioè se lo esponi in una mostra, se ci fai un libro, se lo proponi ad un giornale o se lo mandi ad un concorso.
Tutto questo è un ‘frattempo imprenditoriale’ .
Poi esiste un ‘frattempo prima’ che è lo studio: da quando hai un’idea a quando scatti la prima foto, spesso passano dei mesi.
Per l’ultimo lavoro che ho fatto in India, sono passati 11 mesi da quando ho avuto l’idea a quando ho scattato la prima foto.
Prima di scattare ti documenti, leggi, guardi le refererences, contatti il giornalista.
Tutto questo spesso non viene considerato. 
Per me, invece, è il motore del mio lavoro. 
L’ultimo lavoro che ho fatto – che è durato 5 anni – sulla terra dei fuochi, l’ho portato avanti sull’onda dell’emozione.
Ma da lì a crearci un libro sono passati quattro anni durante i quali mi sono dato una struttura, ho contattato delle persone, sono andato a conoscere le mamme che hanno perso i figli di cancro.
Tutto questo è riassunto in 50/70 immagini ed è stato progettato nella mia testa ex ante, non ex post.”
Mi sembra di capire che la tua direzione non è mai commerciale.
“Mai.”
Secondo te, i ragazzi capiscono questa esigenza di immortalare un momento al di là dell’aspetto economico, del guadagno?
“Ho fatto una lezione in un istituto di Design. Non ho parlato di fotografia di prodotto o di pubblicità. Ho iniziato a parlare di fotografia sociale, di quello che c’è dietro uno scatto, cioè del pensiero.
E i ragazzi sono rimasti ad ascoltarmi.
Perché il tecnicismo al quale noi siamo abituati, dopo un po’ stanca.
Io non posso fotografare ciò che vedo ma devo fotografare ciò che sento.”
Cosa consiglieresti ai ragazzi che si accostano alla fotografia? 
“I ragazzi che si accostano alla fotografia dovrebbero farlo molto più seriamente di quanto non lo facciano.
E’ molto più semplice fare fotografia oggi: una volta si doveva comprare il rullino. Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia medio-borghese che mi ha permesso di fare questo lavoro.
Oggi è diventato sicuramente più ‘democratico’ fare fotografia, perché non costa molto. Sono tuttavia entrati in campo tutta una serie di elementi (la sovrabbondanza quasi pornografica delle immagini, i social, i followers, ecc.) che non permettono al fotografo di strutturarsi come uomo prima che come un semplice produttore di immagini. L’unica domanda che ci si pone è come guadagnare visibilità.
L’importante è avere un like, un feedback immediato su quello che si è pubblicato. Le scorciatoie velocizzano una strada effimera. Questa superficialità in fotografia non funziona.
Oggi è ancora più difficile emergere, farsi notare perché ci sono tantissimi competitor. Quindi ai ragazzi consiglio di accostarsi alla fotografia seriamente. E di studiare.”
Stefano Schirato oggi si divide tra l’attività di docente – dal 2014 è docente  di fotogiornalismo nella scuola Mood Photography di Pescara – e quella di fotoreporter e fotografo di scena.
Inoltra collabora con importanti riviste nazionali e internazionali come Vanity Fair, Le Figarò e per autorevoli quotidiani come il New York Times e il Washington Post.
Emanuela Costantini