Il critico e curatore Antonio Zimarino ospite di Artex 2024

Antonio Zimarino rifugge dalle categorizzazioni.

“Potrei definirmi uno studioso-curioso” dice di sé.

In realtà Zimarino, ospite di Artex , il contenitore dedicato all’arte e al design promosso dall’Università Europea del Design di Pescara, è molto di più di questo. Laureato con il massimo dei voti in arte bizantina, inizia a interessarsi all’arte contemporanea prima come studioso e critico, poi come curatore.

Per Antonio Zimarino l’arte è relazione sociale. 
“L’idea di un’arte relazionale, sociale, cambia completamente i connotati di quello che normalmente riteniamo arte.
Ed effettivamente mette in campo altre questioni: l’altro, il luogo, l’ambiente.
Un’arte pensata nella relazione deve aprirsi a possibilità totalmente diverse: non è più l’oggetto da esibire ma è l’oggetto con cui convivere.
Pensare in questi termini l’azione artistica, cambia completamente i connotati di qualsiasi effetto.”
E cambia anche il modo di fruire di spazi come musei e gallerie, i tradizionali ‘luoghi dall’arte’.
“Sì, negli anni Settanta, quando l’arte nel sociale ha iniziato a definirsi, si riteneva importantissimo lo spazio del quotidiano: il quartiere, la piazza. Il problema museale si è posto dopo.

Il centro della questione non è più ciò che faccio come artista, ma è l’altro, cioè la persona con cui devo interagire. Se si parte da questo principio, qualsiasi luogo diventa non un contenitore ma uno spazio da praticare in tanti modi e in tante situazioni.

 

Per esempio Tino Sehgal parla di “situazioni costruite” perché deve avvenire qualcosa che pone una serie di condizioni che generano delle possibilità. L’artista non sa mai se ciò che propone avrà l’effetto che lui intende, ma è aperto a qualsiasi tipo di interrelazione.
È strano questo concetto perché noi siamo abituati a pensare che l’arte esprime qualcosa.
L’arte relazionale è invece un’arte che crea situazioni, che si autocostruisce, si definisce mentre accade. E questo mette in crisi le definizioni tradizionali di arte.”
Allora cambia anche il concetto di artista.
“Sì. L’artista inteso non più come comunicatore, ma persona che vive nella società, che partecipa. L’arte va tra la gente e costruisce relazioni nuove. La cosa interessante di questa forma d’arte è che non risponde a canoni ma si costruisce nel fare. È imprevedibile. È stimolante, perché apre possibilità infinite. Genera idee, interventi, riflessioni.”
In che modo possiamo far capire ai ragazzi l’importanza di conoscere l’arte?
“Noi spesso le cose le riconosciamo, perché siamo abituati a determinati stimoli. Invece dovremmo conoscere, non riconoscere.
Significa avere gli strumenti per analizzare, capire.
Purtroppo nel sistema mediatico la comunicazione orienta le percezioni. Per emergere deve far leva su determinati interessi.
E nella velocità non consente la costruzione di una struttura critica e interpretativa, ma semplicemente si basa sul riconoscimento.
Come insegnanti, studiosi,  la cosa fondamentale è dare lo strumento critico, per capire come funzionano certi sistemi, destrutturarli e costruirsi la propria possibilità, la propria struttura.”
In alcuni casi è il linguaggio che allontana…
“È il grande errore della critica che non è critica. Quando il critico diventa promotore e poi comunicatore, si trasforma in curatore quindi segue la strategia della comunicazione, non della critica.”
È anche una scelta di pubblico?
“Sì, perché il sistema attuale dell’arte ha bisogno di due condizioni: da una parte la massa e dall’altra l’elite, che non è detto che comprenda. Però ha bisogno di prendere l’opera e trasformarla in un valore e in un simbolo sociale. Il pubblico, in alcuni casi, non ha lo strumento per capire cosa sta vedendo.”
Dunque, bisognerebbe “educare a capire” l’arte?
“Sì. Nella filosofia contemporanea dell’estetica le questioni sono molto chiare. L’arte non può essere definita. Secondo l’estetica analitica noi dobbiamo riconoscere, capire se una cosa è arte rispetto a ciò che mette in moto culturalmente. Noi continuiamo a perpetuare un modello idealistico di arte che non ha più senso dal punto di vista culturale. È fine a se stesso.
C’è un altro elemento che permette di capire cosa è arte: il tempo, la storia.
Più un’opera riesce a ‘restare’, a generare stimoli culturali nel tempo e più possiamo dire che quella è arte.”
Per capire l’arte e, direi, anche il complesso meccanismo relazionale, cosa dovremmo fare? 

“È importante essere curiosi. Io sono alla continua ricerca di capire il funzionamento delle cose. E vorrei restare curioso tutta la vita.”

Articolo di Emanuela Costantini