Lo sguardo poetante di Paolo Dell'Elce, il fotografo ospite di ArtEx

Per Paolo Dell’Elce, primo ospite di ArtEX, l’ormai consolidato appuntamento con l’arte e il design promosso dall’Università Europea del Design di Pescara, la fotografia è “scrittura di luce“.

E già da questa definizione riusciamo facilmente a intuire la passione autentica che anima Paolo Dell’Elce e il suo lavoro come fotografo.
La sua sensibilità verso ciò che lo circonda, la sua particolare capacità di ritrarre, nei suoi scatti, particolari ed emozioni si traducono in uno sguardo poetante.

“Questa definizione è stata coniata da un mio amico fotografo pensando al mio lavoro, al mio modo di fotografare, al mio sguardo. Uno sguardo che costruisce, che realizza. Uno sguardo concreto.”

Chi è Paolo Dell’Elce?

“Sto cercando di capirlo ancora. È una cosa che impegnerà tutta la mia vita. La fotografia è stata un modo per conoscermi. La fotografia ha strutturato il mio vivere. Sono strettamente connesso e collegato con il fotografico, nel senso della scrittura con la luce. L’esperienza mistica con la luce ha segnato la mia infanzia, ha condizionato la mia esistenza.”

Quale è stato l’elemento che ha fatto scattare la passione per la fotografia?

“In casa avevo mamma che giocava con le macchine fotografiche, con le cineprese. Le piaceva fotografare. E così ho avuto la fortuna di entrare subito in contatto con la fotografia. ”

Dove si poggia lo sguardo poetante di Paolo Dell’Elce?

“Lo sguardo è dilagante. È esso stesso materia. È uno sguardo sensibile, fatto di percezione, di assimilazione e di restituzione.”

Qual è il tema che l’affascina di più?

“Il tema l’ho sempre visto come una costrizione. A me piace essere libero. Pensare nel modo più laterale possibile. Ho sempre cercato di avere una percezione globale. Mi guardo intorno a lungo.”

C’è una fotografia a cui è particolarmente legato?

“No.”

Lei ha parlato di scrittura di luce. Per realizzarla preferisce il bianco e nero o il colore?
“Essendo un fotografo che ha iniziato l’attività negli anni Sessanta, da bambino, ho utilizzato sempre la pellicola bianco e nero, quella che potevo trattare materialmente.

Per me la scrittura di luce è proprio la luce che tocca la carta sensibile e la modifica. Quando con la macchina fotografica si arriva a raccogliere questa visione, che corrisponde ad un segno di luce, di reale, di materico, di vivo, riusciamo a sentire la luce, il calore, la vibrazione. È per questo che piuttosto che parlare di immagini, mi piace parlare di oggetti fotografici.”

Oggi, nell’epoca dei social, sembra che fare fotografie non richieda grandi competenze. E spesso si modifica la foto, scegliendo di non mostrare la realtà così come si presenta. 

“Prima i fotografi era pochi. Oggi tutti possono accedere alla trasformazione dell’immagine. Ma vedono solo l’immagine, non sono in grado di percepire la fotografia come evento, come realtà che sta nascendo. In altre parole si considera l’immagine senza pensare che è solo una parte della fotografia e che c’è un’impronta iniziale.”

Si parla spesso di AI e di come questa possa trasformare il mondo del lavoro. Che rapporto c’è, secondo lei, tra intelligenza artificiale e fotografia?

“L’intelligenza artificiale per me non ha niente a che fare con la fotografia. È un magazzino di nozioni, di situazioni. È uno strumento che crea delle immagini in base a dei dati. Non crea immagini o oggetti fotografici in base alla percezione o all’interferenza del pensiero con la realtà. È uno strumento limitato, rispetto all’esperienza.”

Quanto è cambiata la fotografia rispetto al passato?
“Per come l’ho vissuta io, la fotografia non esiste più. È subentrata la tecnologia digitale che scimmiotta, come fa l’intelligenza artificiale, la fotografia.
È un altro linguaggio, sicuramente interessante, ma limitato alla produzione di immagini. Non produce oggetti, cioè la realtà che appare sulla carta a seguito della trasformazione chimica.
Prima il processo era fisico, naturale, oggi è un processo che fa riferimento alla mera applicazione di un codice numerico binario.
A me piace molto di più la foto su pellicola che ha una sensibilità che una stampa digitale, che è pura tecnologia, non può avere.

È un approccio costrittivo, non c’è l’immediatezza della fotografia.”

Articolo di Emanuela Costantini