La curiosità e la passione sono le sue “muse ispiratrici”.
Ed è la voglia – o come dice lui – la “necessità” di sperimentare nuovi linguaggi, che lo ha spinto a trovare un modo di far convivere la sua natura di “esploratore” e di ricercatore con la sua vena artistica. Sto parlando di Eliano Serafini, giovane artista ospite di ArtEX, il contenitore di incontri promosso dall’Università Europea del Design di Pescara con l’obiettivo di far dialogare arte e design.
“La curiosità è la molla che mi ha spinto a partecipare a questo incontro con gli studenti dell’Università Europea del Design di Pescara – spiega Eliano Serafini – Mi piace trovare il modo di far dialogare l’arte con mondi almeno apparentemente estranei a questa.”
Quando realizzi le tue opere, prendi spunto dagli elementi che ti circondano?
“Sì, anzi direi che il mio lavoro si svolge più all’esterno dello studio che all’interno. Raccolgo dati e immagini che si traducono nel lavoro che faccio in studio.”
Quali sono i materiali che utilizzi maggiormente?
“Sono abbastanza eclettico, nel senso che non c’è un materiale che prediligo. Quasi sempre sono materiali poveri, carta, legno, elementi organici, a volte materiali metallici. Un carattere comune potrebbe essere il colore, o meglio, l’assenza di questo: sono lavori che tendono al bianco, ridotti all’essenziale. Al di là del materiale che utilizzo, che per me arriva solo dopo l’intuizione del lavoro, cerco di infondere una certa delicatezza ed equilibrio, che spero arrivi allo spettatore.”
Le tue istallazioni mostrano oggetti presi dal quotidiano che acquisiscono forma e valori distanti da quelli originali.
“Esattamente. Nei miei lavori spesso son presenti elementi/immagini che “raccolgo” animato da una certa impulsività (senza tuttavia focalizzarne subito il valore) e che restano in studio anche per anni, come se li lasciassi “decantare” in attesa che diventino altro. È per questo motivo che definisco i miei lavori come rivelazioni.”
Cosa accomuna tutte le tue opere?
“Direi che tutte le mie opere nascano da una scoperta, l’intuizione che dietro gli elementi che ci circondano siano nascoste storie o legami rintracciabili solo attraverso l’uso di altre immagini. Convivono sempre più letture nell’opera che espongo.”
Quando realizzi le tue creazioni cosa vuoi comunicare all’esterno, all’osservatore?
“Le mie opere nascono dalla necessità di raccontare la mia visione delle cose. L’esigenza della comunicazione arriva dopo. Mi piace pensare che lo spettatore ne possa fare un’ulteriore traduzione.
Credo che il mestiere dell’artista sia anche lanciare delle suggestioni. Non c’è la necessità che un messaggio sia preciso.”
Sicuramente l’arte è una forma di comunicazione che si presta a mille interpretazioni, che dipendono anche dalle conoscenze e dalla cultura del fruitore dell’opera. E a proposito di conoscenze…come nasce l’artista Eliano Serafini?
“Vengo da una formazione completamente diversa da quella artistica: ho fatto il liceo scientifico. Ho avuto sempre interessi che si discostavano da quelli prettamente artistici. Il mio bisogno di diventare artista ho iniziato a percepirlo ancora prima di scoprire l’arte. Già durante gli anni del liceo avevo una forte propensione verso l’immagine.”
Da dove nasce il tuo impulso creativo?
“Come dicevo prima, prendo spunto dall’ambiente che ci circonda: amo lavorare con il mondo animale. E questa è la ragione che mi ha portato, anche dopo aver finito l’Accademia di Belle Arti che ho frequentato a L’Aquila, a esplorare situazioni diverse, legate alla natura.”
Cosa ti ha spinto a iniziare questo percorso artistico?
“Sono entrato in Accademia per fare una scelta per così dire ‘rivoluzionaria’.
Volevo fare qualcosa che mi potesse rendere libero. Oggi ho capito che a livello lavorativo, il percorso artistico non è molto diverso da quello di altre carriere.”
Hai frequentato per un anno la Facultad de Bellas Artes di Siviglia e hai collaborato con il collettivo Peninsula a Berlino. Due realtà molto diverse tra loro.
“In effetti sono due città completamente opposte, come vivere in due epoche diverse, fatte di colori diversi, climi diversi; le immagini di cui ci si nutre, vivendo e girando quei posti, non possono essere più distanti. Ma entrambe sono state molto importanti per la mia formazione come artista.”
Fai parte di un collettivo di artisti chiamato Senza bagno con cui organizzi allestimenti e partecipazione ad esposizioni in tutta Italia. Spesso hai scelto di esporre nella città dove hai studiato, L’Aquila.
“Sì, Aver conosciuto L’Aquila l’anno dopo il terremoto, una città completamente distrutta, ha fatto nascere in me l’esigenza di esporre o creare proprio nel luogo che ha una memoria, una dimensione propria.”
Sei un artista giovanissimo, che ha iniziato il suo percorso da poco e che ha già ottenuto importanti riconoscimenti. La rivista Exibart ti ha menzionato tra i 222 artisti emergenti.
“Vero. Nell’edizione del 2021 (di fatto l’ultima), sono tra i 222 artisti emergenti su cui investire per Exibart!”
Tanti giovani sono attratti dal mondo artistico. Quale consiglio daresti ad un ragazzo che si appresta a fare la tua stessa scelta?
“Per me è una cosa bellissima perché porta delle consapevolezze, anche al di fuori dell’arte. L’immagine non è solo un’opera, un quadro. Anche la moda, il modo in cui ci vestiamo, rappresenta un’immagine. Viviamo riproducendo immagini. Anche nella comunicazione, nel modo in cui ci poniamo. È proprio l’essere umano che non può fare a meno di riprodurre immagini.“
Il titolo del seminario di oggi è “L’abito dei tricotteri”. A cosa fai riferimento?
“Non volevo limitarmi a mostrare immagini dei miei lavori. Ho preferito costruire un racconto che mi aiutasse a sviluppare il discorso ricalcando le fasi metamorfiche di un insetto: dalla raccolta di immagini, all’intuizione e alla nascita di un’opera d’arte. Il tricottero è un insetto acquatico che in fase larvale costruisce un involucro unendo sabbia, detriti e sassolini con cui realizza una corazza per difendersi dai predatori. Mi son servito di questa immagine per trovare un punto di incontro tra me e i ragazzi nel “momento larvale” del nostro lavoro, della fase creativa, in cui ci raccogliamo e ci vestiamo (anche inconsapevolmente) di quelle immagini che abbiamo attorno e che restituiamo al mondo quando ci spogliamo di quell’abito.”
Articolo di
Emanuela Costantini