Si definisce apolide e antiartista. È un performer che cerca di andare oltre il ruolo dell’artista ‘sacro e venerato’. Parliamo di Flavio Sciolè, artista internazionale impegnato nel teatro di ricerca e nel cinema sperimentale da oltre 25 anni, che ha aperto il ciclo di incontri “ArtEX”, promossi dall’Università Europea del Design di Pescara.
“Credo poco nei ruoli – spiega Flavio Sciolè – mi interessa un rapporto umano alla pari.” Flavio Sciolè ha fondato la compagnia Teatro Ateo, con la quale in dieci anni ha “scardinato i siparietti del teatro italiota”. Cosa vuoi trasmettere agli studenti della Ued? “Con ‘Storia difforme della performance’ sviluppo una mia personale idea della performance, una storia raccontata da un performer, dall’interno. Mentre il critico valuta guardando una ‘ferita’, il performer è quello che si ‘ferisce’. Penso che oggi ci sia ancora bisogno di un approccio performatico legato agli anni ’60-’70. Il corpo va rimesso al centro della scena nella sua integrità, nel suo intento di rivelare una verità. Il postorganico andrebbe superato con incursioni in ambiti nuovi.”
Nella tua presentazione parli di ‘atti di deframmentazione e distruzione’.
“Si. Nella deframmentazione opero rispetto al corpo, slegandolo e rompendolo, senza dargli la possibilità di salvarsi e, rispetto la voce, ricercadone moduli nuovi e rinnovati utilizzi. Nella distruzione ho sempre operato cercando una nuova resurrezione artistica. C’è sempre del bene nel male e c’è sempre del male nel bene.” Come ti presenti al pubblico? “Indago gli stati emozionali dell’uomo contemporaneo, i suoi lati bui, le fratture sommerse della psiche. Agisco senza filtri cercando di esporre gli stati dell’io rimossi dalla società (in)civile. Trovo che ci sia della qualità nella diversità. La normalità nasconde una diversità repressa.” Che consiglio daresti ai ragazzi, ai creativi emergenti della Ued? “Siate curiosi, approfondite, ricercate la qualità ed agite sempre nel rispetto delle vostre idee, senza recedere o vendervi.”